LA PAROLLA DELLA DOMENICA "CHICCO"
“CHICCO DI GRANO”
LA “PAROLA” DELLA DOMENICA
21.3.21 Comunità Sorella Luna, Roma
(Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari)
Questa domenica, si parla di obbedienza, ascolto, accettazione. Ma il Vangelo di San Giovanni, soggiunge don Nicola non è immediato e va compreso bene per coglierne il suo vero, straordinario potenziale.
È venuta l’ora. Adesso, ora! C’è un continuo riferimento all’ora. A quella ora, unica, della nostra vita, in cui è concentrata tutta la nostra esperienza umana.
È il momento. Non ce ne sarà un altro più significativo di questo.
Si tratta dunque di cogliere, don Nicola ce lo sottolinea, la straordinarietà della nostra vita.
Questo atteggiamento di apertura, segnato da domande fondamentali, inesorabilmente tese alla conoscenza delle ragioni profonde dell’esistenza umana, ci viene riproposto dalla presenza dei Greci nel brano evangelico di oggi.
Difatti, e lo sottolinea don Nicola, è molto significativa proprio la presenza dei Greci che chiedendo di vedere Gesù, testimoniano una connaturata, preziosa sete di sapere nonché una dinamica tensione al superamento degli schemi. Quegli schemi e quelle rigide strutture mentali, in cui gli ebrei allora, e noi oggi, rischiamo di circoscrivere, mortificandola, la vitale aspirazione ad un orizzonte più ampio di senso.
Questa tensione è rappresentata proprio dai Greci ma, in fondo da ognuno di noi, quando siamo mossi dalla voglia di vedere non solo con la mente o con la testa. Ma quando siamo mossi dal desiderio di guardare la realtà, col “terzo occhio”, quello che sente, che ci induce “fare esperienza oltre l’esperienza”.
In quel momento qualcosa si apre aldilà delle certezze “possedute” dal popolo ebreo.
C’è un’apertura, a dimostrazione che i “passaggi della nostra vita”, non possono avvenire, rimanendo chiusi in noi stessi, nel nostro limitato orizzonte spazio temporale.
E ce lo ricorda anche il “chicco di grano, citato nel Vangelo di oggi.
Il chicco di grano, infatti, deve germogliare in un terreno fertile, per dare i suoi frutti, pena la sterilità, l’inaridimento, la dispersione.
La condizione perché il seme sviluppi il suo potenziale è appunto il terreno fertile. Ovvero La fertilità, frutto di un concepimento.
Esattamente come riescono a fare le mamme quando partoriscono, generando non solo nuove creature, ma rinnovando la loro stessa identità di donne. Non sono e non saranno più le stesse donne di prima.
La vita va avanti.
E il momento dell’ora è il momento del cambiamento. Se noi non accettiamo l’onda del cambiamento, rischiamo di rimanere semi… che non danno vita.
Cosicché, come ci aiuta a riconoscere don Nicola, tutti i passaggi, soprattutto quelli più impegnativi, non semplici, generano vita.
Risulta chiaro, allora, che quando parliamo di semi parliamo di noi.
Ma cosa, in realtà “rende fertili”?
Non c’è dubbio è l’amore. E il percorso che stiamo facendo, frutto della fatica quotidiana, quando fecondato dall’amore, genera qualcosa di significativo di molto bello e significativo.
Lo sguardo del Vangelo, in realtà, va a posarsi sulla fecondità, sul molto frutto, non sul morire!
Ciò non significa cancellare i turbamenti. Ma riuscire a riconoscerli come un’occasione per sviluppare, fecondare, la vera forza del piccolo chicco seminato in ciascuno di noi, e nella nostra storia.
“Tutto il percorso parte da un’esperienza di fertilità. Siamo chiamati a diventare generatori di vita.
Dove c’è vita, la vita attiva altra vita”.