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LA PASQUA E L'ESPERIENZA DEL FALLIMENTO

 

Comunità La Pagliuzza, Giovi 10.4.22

La guerra è voluta dai potenti, non certo dai popoli.

I quali, tutti, sia quelli aggrediti che quelli aggressori, vengono esposti a violenza, morte e distruzione, al di là della loro volontà e della loro piena consapevolezza.

Spesso manipolati dalla volontà di potenza di governanti senza scrupoli, da interessi economici, da mercanti di armi, vengono coinvolti in conflitti feroci, distruttivi, irragionevoli.

I popoli naturalmente non arriverebbero mai alle armi e alla distruzione reciproca.

E, drammaticamente, sono proprio i popoli, e in particolare i più fragili tra loro, a pagare il prezzo più alto di una guerra fratricida, come quella tra il popolo ucraino e il popolo russo, fomentata da una spaventosa sete di potere.

 

Quella che celebriamo in questi giorni è invece la festa della pace.

Proprio davanti all’orrore della disumanità della guerra ci si presenta, provvidenziale, la proposta della Pasqua e della Lavanda dei piedi, che le fa da indispensabile preludio.

Ovvero la proposta del servizio, della tenerezza, della pace, dell’amicizia testimoniata da Gesù che non vuole sentirsi solo Maestro ma anche  Amico.

Colui  cioè che si prende cura, che condivide le nostre pene e le nostre speranze, e non solo con umiltà ma con amore, accogliendo anche la parte più oscura di noi, quella più dolorosa che non riusciamo a riconoscere, a scoprire, a sopportare da soli. 

Ed in effetti, sembra proprio questa la lezione di Gesù: “Quando  Dio ama compie gesti molto umani”.

I piedi, allora diventano, paradossalmente, il tramite dell’amicizia, del servizio.

Prendersi cura, lavare i piedi  dell’altro, assume un significato particolare.

Dio entra nella nostra vicenda umana, e anche nella morte di ciascuno di noi. Ma perché è dalla morte che ci trascinerà fuori, con la sua Pasqua, allorquando accettando l’esperienza della morte, la attraversa e la vince con la Resurrezione.
Ce lo ha ricordato ancora una volta don Nicola, nel corso della celebrazione della Messa del 10 aprile, presso la Comunità La Pagliuzza di Giovi.  

Don Nicola ci ha rammentato infatti come la celebrazione e le riflessioni suggerite dalle letture domenicali, ed in particolare del Vangelo che raccontano le diverse fasi attraversate da Gesù dall’ingresso in Gerusalemme alla crocifissione, sono un’ulteriore occasione per riconoscere nella nostra vita (e non al di fuori di essa) le dinamiche che Gesù sperimenta e il Vangelo racconta.

E trarne il senso più profondo che può aiutarci a integrare la forza del suo messaggio nel nostro operare.

Altrimenti destinato a sbiadirsi in un ripetitivo rituale stanco, da mestieranti  senza respiro e senza capacità propulsiva.

Si  tratta allora di riconoscere nella nostra stessa vita quelle drammatiche contraddizioni, quei conflitti, ma soprattutto quei fallimenti  di cui  inesorabilmente, tutti, facciamo esperienza.

Ma, beninteso,  non per coltivare un atteggiamento di autoflagellazione, disfattismo, passività.

Ma per evitare che il mancato riconoscimento dei nostri fallimenti inneschi un meccanismo difensivo basato sulla proiezione.

Ovvero sull’attribuire all’altro, al nemico di turno, il ruolo di capro espiatorio. Ed evitare così di prendere coscienza  delle nostre povertà  più inconfessabili (o ritenute tali).  Avvvertire il dolore, la paura, la rabbia, le colpe e la convinzione di non poter essere amabili per questo.

Ma è proprio quando attiviamo questi meccanismi di difesa, peraltro  talvolta necessari e comunque funzionali, che rischiamo di  creare barriere, gabbie e maschere troppe rigide che ci ingessano e ci distorcono.

Ma pur vero è che se le maschere vengono traumaticamente strappate via  e le difese forzosamente abbattute,   si generano spesso reazioni violente, aggressive, distruttive.  

Reazioni estreme, queste, che possono accadere senza una previa accoglienza ed elaborazione dei vissuti profondi che popolano il retroterra della nostra coscienza.

L’entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme sta allora a rappresentare l’entrata di Cristo in ciascun di noi. Nel luogo più profondo di ciascuno di noi. Dove si nascondono, ben armati, i drammi, le angosce, i dolori più antichi, e tormenti oscurati.

Ma è proprio lì, nei luoghi, nei ricordi, nelle ferite profonde, nei fallimenti impressi nella carne, nelle menti e nei cuori che abbiamo la possibilità di accogliere il perdono, la pace, l’amicizia e il dono dell’amore gratuito  di Cristo.

In effetti, ancora una volta, ma questa volta nella circostanza  più congeniale, ovvero nella celebrazione dell’ingresso di Gesù Cristo  in Gerusalemme, accolto e tradito, osannato e condannato da nemici ignari e dagli stessi amici fidati,  Don Nicola ci riporta al senso più autentico del nostro operare, vale a dire al riconoscimento della nostra umanità profonda, segnata, per ognuno di noi, da zone di ombra e da qualche luce e dall’esperienza fallimento che inesorabilmente ci accomuna.

Solo riconoscendola, possiamo provare a riscattare ed accogliere l’esperienza del fallimento altrui per trasformarlo in risorsa, in forza personale e comunitaria.

Un amore così non può andare perduto, e chi vive come Cristo ha in dono la sua vita indistruttibile.

È la stessa filosofia del Centro La Tenda che si ispira fondamentalmente proprio a questo principio: il disagio, la sofferenza, il bisogno di aiuto si trasforma in risorsa, in occasione  di riscatto, in dono gratuito di amore.

Per tutti.

   

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