LA PAROLA DELLA DOMENICA "IL VOLTO E LA MASCHERA"
IL VOLTO E LA MASCHERA
Guarda la celebrazione integrale sul canale youtube del Centro La Tenda
La Messa di oggi è piuttosto impegnativa, ci avverte don Nicola. Ci parla infatti, essenzialmente, di un’esperienza molto forte.
Nelle Letture delle settimane scorse, premette, siamo stati impegnati a farei conti, con “il deserto” o con “la sinagoga” e con il rischio di essere dei “mestieranti”. Oggi siamo chiamati a scoprire ciò che si nasconde dietro la maschera, oltre il ruolo che troppo spesso impedisce di conoscere la nostra vera identità.
Oggi, in effetti, viene presentata un’esperienza molto forte di un Gesù che una volta uscito dalla sinagoga, alla ricerca di rapporti più veri, di un incontro con sentimenti e relazioni genuine, esce per strada e “rompe gli schemi”.
Va su un monte di media grandezza, il monte Tabor, e “porta con sé tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) con i quali fa un’esperienza straordinaria, di luce e di trasfigurazione.
“È il momento avviene un un passaggio” ci suggerisce don Nicola. La maschera viene maschera viene sradicata dal volto di chi la indossava, magari inconsapevolmente, resa inutile da una luce “accecante” La luce della bellezza umana e divina, al tempo stesso.
In effetti, già nella prima lettura Abramo viene messo alla prova essendogli stato chiesto da Dio l’improbabile sacrificio di uccidere il proprio innocente figlio.
In realtà, soggiunge don Nicola, sottolineando l’assurdità di una interpretazione letterale di un tale comando di Dio, l’ordine è in effetti finalizzato a segnare un passaggio dalla logica del sacrificio, del dolore, dell’ ubbidienza faticosa, alla esperienza liberante della misericordia, della possibilità di vita vera, gioiosa, amorevole.
Un’esperienza quindi da collocare nel processo di avvicinamento di Dio all’uomo e dell’uomo a se stesso, attraverso il riconoscimento di una verità interna ciascuno di noi.
Attraverso, cioè, un percorso che non è fatto di snaturamenti, impegni estremi, di vette irraggiungibili o di richieste impossibili.
Ce lo ricorda anche simbolicamente il luogo dove avviane l’evento: il monte Tabor. Un monte, in verità di dimensioni modeste.
Non siamo dunque chiamati a scalare vette o a innalzarci oltre i nostri limiti, sembra volerci dire il Buon Dio.
Ma siamo chiamati a scoprirci, a fare a meno delle maschere che quotidianamente indossiamo per riconoscere la bellezza che si nasconde nel nostro volto vero.
In effetti l’esperienza della trasfigurazione, per quanto improntata alla gioia che lascia senza parole, alla felicità di una verità disvelata, viene spesso percepita come un rischio. Non fosse altro perché ci offre l’opportunità di uno squarcio di realtà cui non siamo abituati. Una realtà interna ed esterna, fuori dagli schemi, che ci spiazza e ci interroga. Anche per questo, è un’esperienza, una folgorazione che viene spesso accantonata, rimossa, e che contiene la tentazione della felicità raggiunta.
I tre apostoli, infatti, guardano, così emozionati, storditi, inebriati da quella felicità che vorrebbero fissarla per sempre: “facciamo tre capanne”…
Ma si tratterebbe di una staticità pericolosa perché la vita non la si può fermare: la felicità quando è data, va goduta senza timori, è una carezza di Dio, uno scampolo di risurrezione, che va conservata e custodita ma non cristallizzata.
Altra cosa è la necessità della sosta, soprattutto in una fase di fatica e di malessere.
In effetti, c’è un processo che evolve, c’è il superamento del formalismo, della stessa legge e c’è il bisogno di ricercare la spiegazione, il senso della nostra vita, la necessità di rispondere alla domanda di fondo: che senso ha tutto questo?
Ma il Vangelo di oggi contiene anche la risposta. È la nostra storia, che in un dato momento può trovare un senso una motivazione, una trasfigurazione , ovvero il permesso di manifestare quello che siamo veramente. “ Quello che c’è si può manifestare”, sottolinea don Nicola..
Infatti, a fronte del rischio di identificarci nel ruolo e nella maschera che indossiamo. la trasfigurazioni fa venire fuori quello che c’è dietro la maschera e ci fa entrare in contatto con la parte ferita, il bambino ferito dentro di noi.
In effetti, possiamo anche scegliere di scendere dal monte, di rinunciare alla luce della verità perché “troppo difficile da gestire. Ma è un’esperienza che non possiamo cancellare né annullare o dimenticare.
Possiamo, invece, condividerla.