LAPAROLA DELLA DOMENICA "IL PASTORE E IL MERCENARIO"
IL PASTORE E IL MERCENARIO
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Oggi ci arrivano tante sollecitazioni dalle Letture.
San Giovanni ci parla della pecora e del pastore, ma anche stavolta lo fa per andare oltre.
Sembra proprio il richiamo a ciascuno di noi, e al nostro modo di fare comunità affinché ci riconosciamo anche noi come pecore, figli amati da Dio.
Dimensione che viene ricordata anche da Pietro negli Atti degli Apostoli attraverso la sua personale testimonianza.
In realtà, come suggerisce don Nicola, bisogna capire qual è l’esperienza nostra che potrebbe somigliare a questa. Anche perché, in fondo la “parola” del Vangelo riguarda direttamente la nostra vita. E trova sempre una corrispondenza con la nostra vita personale e comunitaria.
Del resto l’amore e la vita sembrano trovare una perfetta coincidenza nella realtà testimoniata da Gesù.
L’espressione di Gesù: “io sono” dice tantissimo.
Tira in ballo il tema della identità. E soprattutto il tema della relazione, laddove non c’è identità vera, compiuta, se non si riconosce la relazione alla base di essa.
Il mercenario e il pastore rimandano, allora, anch’essi al tema del rapporto.
In effetti, laddove c’è un’apparente contrapposizione di ruoli, tra il il pastore e il mercenario, bisogna leggere più che la contrapposizione, la prospettiva relazionale, integrativa, suggerita da don Nicola.
Preso alla lettera il brano evangelico proposto oggi, infatti, sembra mettere in cattiva luce la figura del mercenario, alimentando una contrapposizione tra bene e male, giusto ed ingiusto che ci allontana dal vero messaggio evangelico.
In realtà tali attribuzioni non corrispondono a ruoli definiti, attribuibili tout court all’uno o all’altro personaggio e, soprattutto, distanti lontani dalla nostra esperienza personale.
Piuttosto essi stanno a significare atteggiamenti che appartengono a ciascuno di noi.
Tutti, difatti, come il mercenario, siamo portati ad utilizzare l’altro in funzione dei nostri obiettivi personali.
Cosicché il bano evangelico non è una condanna del mercenario, come persona. Quanto piuttosto un’ulteriore dimostrazione della dimensione universale, incondizionata, gratuita dell’amore di Dio per le sue creature.
Un Buon Pastore determinato a dare la vita per ciascuna di esse, tra l’altro, non solo per quelle all’interno del recinto. (“Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”).
Ma soprattutto, Don Nicola ci ricorda che, quando parliamo di pecore, lupi e mercenari, siamo invitati a riconoscere quanto l’amore sia un dono fecondo e inesauribile, e che non verrà mai distrutto.
Cosicché la vita, così come l’amore continua. Non può esaurirsi, non potrà mai finire.
In effetti, le parole del brano evangelico di oggi ci esortano a non attardarci nel coltivare una relazione utilitaristica con l’altro ma non perché ciò sia riprovevole, o punibile in sè quanto invece perché la vita da mercenario, incapace di guardare oltre l’interesse personale, è una vita triste, infelice, sterile.
E il nostro amore, un amore ancora non adulto.
Possiamo allora accettare o rifiutare la proposta che proviene da Gesù ma la garanzia di tutto questo è che l’amore non finisce neppure quando viene rifiutato.
Dio, il Buon Pastore, dona amore e lo riprende …. Ma l’amore non muore.