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AGENDA 2019

 

AGENDA 2019

2019 Immagine e identità

L’Agenda caosinforma quest’anno è dedicata al potere sempre più pervasivo dell’immagine.

Dal mondo  dei mass-media a quello delle comuni interazioni sociali sempre più sopraffatte dalle apparenze e dal  primato dell’esteriorità, la realtà sembra a volte quasi scomparire cedendo il posto a dei simulacri,  ovvero a forme di rappresentazione prive di referente reale e di personalità.

Nel mondo dei mass media e nell’oceano della rete, dei cosiddetti social, la supremazia  dell’apparenza sembra non avere più limiti, e le immagini vengono divulgate e fagocitate dal grande  popolo del web con una velocità impressionante, mentre diventa secondario perfino controllare la  veridicità delle notizie circolanti.

Sembra proprio sia nata una nuova figura, quella dell’homo mediaticus, che non fa che proiettare  all’esterno la propria forma, in ogni luogo nel quale essa può concretizzarsi: i social network innanzitutto ma anche i pub, gli impianti turistici o sportivi, gli ipermercati, i talk show, ed ogni sorta  di spettacolo, nel quale l’immagine ricrea i legami sociali separandoli dalla dimensione reale.

Del resto, gli strumenti tecnologici finalizzati alla comunicazione rispondono sì al bisogno di  contatto di chi li adopera ma comportano anche il rischio di una risposta elusiva rispetto ad  un’esigenza cui non sanno dare voce. Inoltre, bisogna tener presente che questo tipo di comunicazione  rischia di far mettere ben poco in comune con gli altri, se non un modello, a volte stereotipato, di  messaggi preconfezionati, espressi in maniera quasi sempre impersonale. La comunicazione ne  risulta, sì, dilatata e veloce, ma anche sempre più inautentica.

Consideriamo inoltre che per quanto riguarda il futuro, i nostri adolescenti non ne posseggono un’idea  significativa. Cittadini di un mondo in cui ciascuno a suo modo è un migrante, e dove urge superare  le barriere culturali e rendere ogni diversità una ricchezza, essi hanno bisogno di una vera e propria  alfabetizzazione emotiva e relazionale, nonché linguistica, per poter conoscere l’altro ed accoglierlo,  senza tuttavia dimenticare le proprie origini. D’altro canto, essi sono immersi in un tempo segnato da  un diffuso relativismo culturale e morale, nel quale facilmente vengono negati i valori fondamentali  e dove finisce per prevalere ogni capriccioso egoismo.

Così, le nuove generazioni appaiono tendenzialmente ripiegate sulla famiglia, intesa non tanto come  istituzione ma come luogo sicuro e protettivo (e forse, proprio per questo sostanzialmente  inadempiente) in cui rinchiudersi, e non vivono il mondo della scuola come luogo propedeutico al  successo nella vita professionale ma piuttosto, nella migliore delle ipotesi, come un luogo di  socializzazione. E lo stesso sport, in particolare il tifo calcistico con la sua componente irrazionale,  si trasforma in una pericolosa esaltazione di modelli e di rituali che sfociano talvolta nella violenza.

Anche l’interesse e l’impegno politico nei giovani è sempre più raro e più debole, e ciò vale anche per la vita associata, che rischia di perdere la propria capacità attrattiva. L’adesione ad un credo  religioso, poi, viene evitata o al contrario vissuta in maniera eccessivamente rigida e sganciata dalla  concretezza dell’impegno per il prossimo.

In questo panorama culturale i nostri ragazzi, poco consapevoli dei loro bisogni, dimostrano una  sostanziale sottovalutazione del ruolo attivo che potrebbero avere nella società. Di fronte al futuro, essi si esprimono in termini ancora vaghi facendo fatica a concretizzare le loro  scelte di vita e appaiono influenzati dalla precarietà della prospettiva temporale, povera di  orientamenti e di progetti. Sembrano assai poco toccati dalle difficili domande relative al significato, al valore, alla direzione della loro vita. Così, finiscono per crescere non più, come una volta, nel  conflitto tra il sé e l'altro, bensì nel conflitto tra il sé reale e il sé ideale. Da cui, molto spesso, la delusione relativa al proprio io, che sostituisce quello che era lo scontro con l'adulto.

In questo modo, nascono e dilagano nuovi disagi, nuove patologie, che sono prevalentemente quelle  legate non più alla colpa bensì alla vergogna, alla inadeguatezza estetica o alla mancata popolarità:  nuove forme di disagio e di dipendenza, che si aggiungono, purtroppo, a quelle preesistenti.

Nella stesura della nuova Agenda 2019, ci è sembrato dunque opportuno delineare brevemente mese  dopo mese le più attuali problematiche su cui, giovani e adulti, ci si possa utilmente confrontare per  percorrere fruttuosamente il cammino degli anni a venire. Temi che ci riguardano tutti da vicino e su  cui ciascuno di noi ci auguriamo possa soffermarsi a riflettere, per approfondire il discorso ed ampliarlo con nuovi contributi, tessendo la trama complessa di nuovi percorsi di crescita e facendo in modo che ogni disagio possa tramutarsi in risorsa, coerentemente con la filosofia che caratterizza  da sempre il processo evolutivo del nostro Centro.

 

PER APPROFONDIRE

CAOSINFORMA n.97

• UNO SPOT PER 8a EDIZIONE

LE PROPOSTE

• UNO SPOT PER (il palma res)

• caosinforma giovani

IDENTITÀ PLURALI SCONFINATE

IMMIGRAZIONE

“LA MIA CASA È DOVE SONO“ (OVVERO IL FENOMENO DELLE IDENTITÀ PLURALI SCONFINATE) Se l’immagine dell’albero (peraltro molto cara alla storia del nostro Centro) rimane una  metafora appropriata dell’umanità che affonda le sue radici nella propria terra e da lì trae il suo  nutrimento, altrettanto efficace oggi è la rappresentazione di una umanità che è sempre in  cammino, e che necessita dunque di piedi, più che di radici, affinché possa crescere ma anche  muoversi e sintetizzare le proprie origini con quanto assimila nella sua mobilità.

Facciamo nostro, dunque, l’ossimoro delle “radici mobili”, per definire la nostra versatilità, il nostro continuo spostarci e cambiare, destrutturarci e ristrutturarci, romperci e ricostruirci, come vasi giapponesi che possono acquisire valore anche dalla loro imperfezione. Ascendere, discendere, dunque, ma anche inclinarsi, piegarsi e rialzarsi, scorrere come un fiume nel suo continuo divenire, nel suo essere sempre un’acqua diversa. Il movimento orizzontale e tortuoso del fiume esprime al meglio il continuo divenire delle nostre identità fluttuanti. Acqua  che accoglie e riceve, non sterile nella sua purezza ma feconda nella sua capacità di ricevere e di rinnovarsi.

In ogni caso, al di là di ogni simbologia, il futuro in cui crediamo ha bisogno di superare le barriere culturali, di fare di ogni diversità una ricchezza e di ricominciare da un’alfabetizzazione affettiva, relazionale, emotiva, che passi anche attraverso una alfabetizzazione linguistica. Il diritto alla parola dunque, come primo tassello nella costruzione di una nuova identità, come vero cardine dell’accoglienza. Dobbiamo essere pronti ad aprire porte, a conoscerci, ad esprimerci.

PER APPROFONDIRE

  • IMMIGRAZIONE: PAROLE E FATTI
  • caosinforma n 42 IMMIGRAZIONE/IDENTITA’
  • caosinforma n.94 LUOGHI, NON LUOGHI, FUORI LUOGO
  • caosinforma n. 88/89 IMMIGRATI DENTRO
  • LA “DITTATURA” DEL RELATIVISMO CULTURALE
  • L’IDENTITÀ SENZA VALORE
  • caosinforma 115 Bisogno di spiritualità
  • Poposta modello Sorella Luna

LA FAMIGLIA MULTIPLA DOVE SI NEGANO I FONDAMENTALI VALORI DELLA VITA E DELLA FAMIGLIA NON C’È FUTURO

Parlare di famiglia oggi vuol dire, parlare di famiglie, ovvero di molti tipi di famiglie. Una parola difficile dunque, che racchiude dentro di sé numerosi e nuovi concetti riferiti a d altrettanto numerose realtà di fatto. Nella attuale cosiddetta società “liquida” , la nostra esperienza di libertà si è infatti talmente allargata che il ruolo stesso della istituzione familiare è in continua  ridefinizione, con evidenti e non banali ricadute sull’aspetto educativo dei suoi componenti.

Siamo ormai lontanissimi dall’idea tradizionale della famiglia dei nostri padri, dei nostri nonni, in quanto le molteplici combinazioni delle convivenze affettive possibili rispondono ormai esclusivamente a scelte sempre più individualistiche: vivere soli o insieme, essere sposati o no, avere o non avere figli, convivere più o meno continuativamente con i propri figli e con quelli  del proprio partner o con quelli frutto di precedenti relazioni. Anche i matrimoni non sono più  univoci ma civili, religiosi, misti, tra divorziati etc … A ciò si aggiunge la nascita di nuove identità  sessuali come quelle dei “gender” e la convivenza di coppie omosessuali con figli di uno dei due  partner o con propri figli adottivi…

Ovviamente, l’immagine che ne deriva non possiede più il connotato della chiarezza e della  semplicità, con la sicurezza che ne derivava, ma risulta molto variegata e riflette in pieno la  complessità della nostra epoca.

Inevitabile , dunque, una crisi del ruolo e dei compiti, e in particolare di quello educativo,  indirizzato al sempre più ridotto numero di figli che vengono generati, anche a causa della  persistente crisi economica.

Si tratta di sfide enormi, che riguardano tutti noi nel momento in cui andiamo a compiere scelte di vita personali e che richiedono a nostro avviso un orientamento per la costruzione di un futuro sereno anche dal punto di vista sociale. Papa Benedetto XVI, nel pronunciare il suo NO al relativismo e al laicismo dilagante, parlò a suo  tempo del grave rischio che si determina “quando vengono create nuove forme giuridiche che  relativizzano il matrimonio”. Nel Convegno ecclesiale di Verona egli affermò che dove si  negano i fondamentali valori della vita e della famiglia non c’è futuro.

Qualche anno dopo, L’Esortazione apostolica Amoris laetitia che Papa Francesco consegnò alla Chiesa nell’anno giubilare della misericordia 2016 ci invitava a una rinnovata stima verso  il matrimonio e la famiglia, concludendo un lungo processo di riflessione sulla Pastorale della  famiglia che ha coinvolto per tre anni tutta la chiesa cattolica, facendo seguito al grande Sinodo  sulla famiglia voluto da san Giovanni Paolo II nel 1980 e all’Esortazione apostolica Familiaris consortio dell’1981. Documenti che contengono messaggi illuminanti, ai quali possiamo

attingere, e che vale la pena sicuramente di rileggere e di meditare.

PER APPROFONDIRE

  • LA FAMIGLIA AL CENTRO
  • caosinforma n.66 Bisogno di famiglia (1)
  • caosinforma n.67 Bisogno di famiglia (2)
  • caosinforma n.68 Bisogno di famiglia (3)

LA DIPENDENZA AFFETTIVA E L’IDENTITÀ SIMBIOTICA

La dipendenza affettiva è una situazione psicologica nella quale una persona, all’interno di un rapporto sentimentale, mostra difficoltà a conservare la propria individualità e a porre un  limite psichico tra se stessa e l’altro.

Difatti, credendo che il proprio benessere psico-fisico dipenda principalmente dal partner, ci si  potrebbe legare a lui in maniera eccessiva e si potrebbe instaurare una relazione che può  contenere elementi di gelosia e possessività.

Inoltre, temendo costantemente l’abbandono e la solitudine, una persona dipendente affettivamente spesso ricerca l’approvazione e l’accondiscendenza di chi è vicino, portandola in tal modo a prendere decisioni e ad attuare comportamenti molto spesso accomodanti e non  genuinamente sentiti come propri.

Chi vive in una condizione simbiotica, in apparenza si percepisce parte di qualcosa che le offre  protezione, la accoglie e la solleva dalle necessità di dover prendere decisioni. Ma va specificato,  però, che osservando con più attenzione non ci troviamo di fronte ad una protezione rilassante  e serena in quanto essa esige continue conferme e un adeguamento al proprio partner poiché la persona che vive un rapporto simbiotico ne teme la fine.

Nel rapporto simbiotico, difatti, non può essere tollerata la separazione e in questo stato di  timore non è tanto la relazione con l’altro ad acquisire importanza, ma il proprio senso  d’identità che viene confermato o disconfermato dalla presenza del partner.

PER APPROFONDIRE

  • caosinforma n.116 Uomini e donne insieme

 

 

 

LA PROPOSTA

La Comunità delle donne

LA SPIRITUALITÀ DISINCARNATA

Il senso della dottrina cristiana può racchiudersi forse in una semplice regola : vivere in conformità ai precetti evangelici ed operando e a favore di chi ha bisogno del nostro aiuto  materiale e spirituale.

Tuttavia il termine “spiritualità” ha assunto storicamente diversi e contrastanti significati, tra  cui quello secondo cui essa si contrapporrebbe a tutto ciò che è carnale.

Ma Il cristianesimo, ci ricorda Papa Francesco, non è una spiritualità disincarnata. Dio ci salva  attraverso l’umano. (Omelia Santa Marta 2013)

Spesso, per evitare lo scandalo di un rapporto con l’altro, gli uomini preferiscono «una vita  ingabbiata nei precetti, nei compromessi, nei piani rivoluzionari», perché è più facile mettersi  d’accordo con delle opinioni, piuttosto che con delle persone in carne e ossa. Anche ai tempi di Gesù la gente preferiva rifugiarsi in una religione fatta di rigidi precetti morali.

L’incarnazione del Verbo ci rivela contemporaneamente il volto di Dio e il volto dell’uomo  secondo il progetto di Dio. Gesù l’immagine dell’uomo nuovo, del nuovo Adamo, dell’autentico  cristiano.

Ma il senso della preghiera cristiana, sia quella privata, che di quella liturgica, mira ad  assimilarci sempre più a Cristo, a vedere con i suoi occhi e ad amare con il suo cuore.

Pertanto quando si parla di spiritualità cristiana non si intende tanto riferirsi a modalità esteriori di preghiera, quanto piuttosto a un interiore e concreto modo di porsi di fronte a Dio  e di fronte al mondo con gli stessi sentimenti di Cristo. Eppure dovremmo ricordare che il giudizio di Dio non tiene conto delle etichette esteriori, ma  del concreto impegno per la giustizia, per la pace, per la solidarietà verso i fratelli.

In breve, il cristiano non è uno che attende la venuta del Signore con le mani in mano e guardando il cielo, o uno che fugge da questo mondo per immergersi in un ambiente asettico,  gratificante e consolante, fatto di attese miracolistiche.

Non è neppure una persona che vede nelle realtà terrene uno strumento demoniaco.

La spiritualità dell’Avvento è quindi quella dell’incarnazione, quella del Verbo di Dio che si fa  storia per manifestare il suo volto e il suo cuore.

Così anche il cristiano chiamato a diventare testimone concreto dell’invisibile attraverso la sua umanità è vissuta in pienezza e verità. Agli uomini Dio non chiede di essere angeli, ma persone umane, capaci di esprimere al massimo la ricchezza del cuore umano.

PER APPROFONDIRE

• caosinforma 115: Bisogno di spiritualità

• Le encicliche sociali

LA GENERAZIONE Y

LA “FUGA” IN MONDI PARALLELI

Quello a cui si assiste oggi è una profonda mutazione a livello sociologico. L’Homo mediaticus dimora in luoghi dove l’immagine si concretizza: pensiamo ai pub, agli  impianti turistici o sportivi, agli ipermercati,ai talk show, ai social network. Sono tutti luoghi  utili, ma sembra che ci spostiamo da un “non luogo” all’altro, senza soluzione di continuità.

E’ un fenomeno che, seppur in misura ridotta, è comune a tutta la generazione Y, ovvero i  giovani nati tra il 1982 e il 2000, conosciuti anche come “net generation” o “millennials”  (generazione del millennio). Sono i nativi digitali, coloro che nutrono il desiderio di essere sempre interconnessi elettronicamente. Comunicano attraverso la tecnologia, trovando  conforto nel gioco on line e frequentando abitualmente i social network.

I social network sono degli strumenti di socializzazione molto utili, ma quando una persona ci  passa dentro ore e ore rischia di perdere il contatto con la realtà. Poi in questi luoghi virtuali  non si sa mai chi si ha di fronte. Il rischio è di interagire con degli Avatar, con delle persone  irreali.Nei social network tutti vogliono essere ciò che desiderano essere, proiettando  all’esterno ciò che non sono. Molto spesso si chatta con persone diverse dalla realtà.

Non è un caso che oggi, molti giovani siano affetti da nuove patologie, e che dilaghino nuovi  disagi, che sono quelli legati non più alla colpa ma alla vergogna, alla inadeguatezza estetica o  alla mancata popolarità.

Rischioso è l’isolamento sociale, quando si arriva all’alienazione fino a diventare Hikikomori, rinchiusi nella propria stanza rifiutando la scuola e ogni contatto che non  preveda l’uso mediato del mezzo tecnologico.

Gli ultimi anni hanno visto una diffusione del fenomeno degli Hikikomori nei paesi europei,  compresa l’Italia. Anche se non ci sono dati certi sulla prevalenza del fenomeno nel nostro Paese, secondo alcune stime non ufficiali il numero di giovani coinvolti sarebbe compreso tra i  30.000 e i 50.000.

Gli Hikikomori sono ragazzi e giovani adulti, di età compresa tra i 13 e i 35 anni, che decidono  volontariamente di vivere reclusi nelle proprie stanze, evitando qualsiasi tipo di contatto col mondo esterno, familiari inclusi. Si tratta di una sorta di auto-esclusione dalla società odierna, le cui pressioni e richieste vengono percepite come insostenibili.

I social network rafforzano anche il narcisismo.

Il sociologo Vanni Codeluppi parla addirittura di vetrinizzazione del sociale. Le persone su  internet tendono a mettersi in vetrina, analogamente a quanto avviene con le merci nei negozi.

La vetrinizzazione si estende dappertutto: il rischio è il rafforzamento dell’ideologia della  trasparenza assoluta, l’invasione del privato. Si espone tutto in vetrina, non è più possibile  lasciare sentimenti, emozioni o desideri celati nell’ombra. Il corpo-packaging è una delle  conseguenze più evidenti di questo mutamento. Il corpo si trasforma in un oggetto di  “feticizzazione”, idolatrato per il suo aspetto esteriore piuttosto che per la capacità di svolgere  attività.

PER APPROFONDIRE

caosinforma n.87 IL SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO

Oggi,i ragazzi finiscono sempre più per crescere non più come una volta nel conflitto tra il sé e  l’altro bensì nel conflitto tra il sé reale e il sé ideale. Da qui molto spesso la delusione di sé, anziché lo scontro con l’adulto.

Anche la Scuola si trova a dover affrontare trasformazioni  continue, una sorta di dissodamento del terreno che la costituiva. Il sempre crescente numero  di alunni di paesi e culture diverse costringe il sistema educativo per eccellenza, quello  istituzionale, a misurarsi con se stesso, a interrogarsi sulle proprie modalità e sui propri  fondamenti etici. In tal senso, la Scuola deve, se vuole rispettare il suo mandato formativo, farsi  carico del compito di integrare e di includere i nuovi cittadini dello Stato, dell’Europa e del  mondo, trovandosi però nella scomoda condizione di dover poi negare ciò che prima ha in  qualche modo promesso. Necessaria altresì l’integrazione con altre agenzie formative,informali  e/o non formali. In questa prospettiva, perfino il mitico prof Keating,l’affascinante professore  del magnifico film “L’attimo fuggente” di P.Weir, èin realtà pedagogicamente un perdente in  quanto, nell’indurre i suoi studenti a una rivoluzione che lui non ha il coraggio di fare, genera  dietro di sé una carica distruttiva e potenzialmente tragica (come nel caso dell’allievo che arriva al suicidio per non aver potuto seguire la sua passione per il teatro), un movimento incontrollabile e socialmente pericoloso.

Riflettiamo dunque. Il lavoro dell’insegnante deve essere un modello di responsabilità da  seguire, un lavoro di cura, di resilienza psichica in cui ciascuno possa essere valorizzato, perché  no, anche a partire dal segno interno delle proprie ferite, dalle cicatrici esistenziali di cui  ciascuno ha sofferto. In tal modo, lavorare e insegnare vorrà dire favorire e sprigionare capacità rigenerative reciproche e preziose, lasciare un segno che aiuta a crescere. E farlo anche se tutto sembra remare contro.

Gli insegnanti, insomma, per generare qualcosa di positivo e di nuovo debbono affrontare la  fatica di oltrepassare una “scuola-Edipo” fatta di forza e autorità, di obbedienza e repressione,  e di evitare al contempo il rischio di una “scuola-Narciso”, in cui genitori e figli mirano al  successo troppo facile e al culto individuale della prestazione, nel disprezzo del senso autentico dell’Istituzione.

Abbiamo bisogno dunque di proporre identità assertive ma non autoritarie, personalità forti ma non rigide, nell’affiancare la crescita dei nostri ragazzi con una mentalità aperta e flessibile  ma anche ferma e responsabile.

IL TIFO E LA ESALTAZIONE  DELL’EROE SPORTIVO

IL CALCIO SI STA TRASFORMANDO IN UNA RELIGIONE SOSTITUTIVA DI TIPO LAICO, CON UNA SUA RITUALITÀ, I SUOI SIMBOLI, LE SUE CATTEDRALI, LE SUE SETTE

Se il tifo (e tralasciamo le espressioni violente che ne sono degenerazioni e vanno ad interessare  il codice penale) ha una componente irrazionale e patologica, risulta più facile comprendere,  ma non giustificare, l’attacco compatto che subisce il presidente della squadra se si permette di criticare il “tono, la determinazione” con cui si affronta un avversario temibile. Se neppure chi  spende per costruire il team e sceglie l’allenatore può permettersi di criticare l’assetto è chiaro  che il sostegno alla squadra perde ogni lucidità, diventa fede e forse perfino l’analisi deve  rassegnarsi ad avere a che fare con paradigmi teologici che è meglio non scomodare.

Ma c’è un altro modo di intendere e promuovere lo sport.

E’ stato un nostro caro amico, il prof. Gianluigi Conte, a parlarcene per primo, ad avviarci alla  reciproca conoscenza. E nell’avvicinarci a questa realtà, abbiamo subito sentito, avvertito, i punti comuni su cui poter fondare la nostra collaborazione, la nostra condivisione: l’idea del  ruolo centrale della persona e la fiducia nelle sue potenzialità di crescita individuale e sociale,  possibile solo grazie all’attenzione rispettosa e amorevole verso ciascuno. Villa Letizia sorge a  Roma, in quartiere Monteverde, non molto distante, dunque, dalla nostra Comunità “Sorella  Luna”. E’ quella che si definisce una Comunità terapeutica e socioriabilitativa per soggetti  sofferenti di disagio mentale, ma il dottor Santo Rullo, presidente dell’Associazione Italiana di  Psichiatria Sociale, che la guida e la gestisce utilizzando nuovi e innovativi strumenti  terapeutici, ne ha fatto molto di più.

Agendo in maniera indiretta sui processi funzionali dei “pazienti”, egli ha dato il via ad una  nuova forma di terapia, alternativa e coraggiosamente diversa: lo sport, e soprattutto il calcio,  come ricetta per accogliere e lenire la sofferenza estrema e diversificata di coloro che,  soprattutto giovani (i più difficili, spesso appena usciti dal carcere o non adattatisi al disperante  contesto dell’ospedale giudiziario), non trovano generalmente attorno a sé che la risposta del  controllo farmacologico o etichette che riducono la loro complessità ad una mera diagnosi psichiatrica. Il calcio dunque, o meglio la calcioterapia, come nuovo strumento di “cura” per le menti più fragili e sofferenti. Un metodo che richiede un approccio nuovo, una pratica da svolgere insieme, “giocando” a costruire relazioni, senso di appartenenza, integrazione. E  ancora, entrare in campo col distintivo della lealtà, nel rispetto degli altri e delle regole comuni,  con la voglia di divertirsi, di comunicare e di entrare in contatto, anche fisico, crescendo in  responsabilità e in socialità. Il segreto sta nella forza del gruppo che diventa squadra e in un  sano processo di maturazione si mette alla prova per ricomporre il “filo” spezzato dalla  malattia. Ma c’è dell’altro. Grazie a questa esperienza avviata circa 11 anni fa, quando già si  contavano una trentina di squadre composte da pazienti con disagio psichico, anche il mondo  del cinema, attraverso un regista come Volfango de Biasi e un autore come Francesco Trento,  mostrò attenzione per questa esperienza a metà tra sport e psichiatria sociale, e ne fece  l’oggetto di un documentario unico nel suo genere, trasmesso sia dalla Rai che attraverso i dvd,  con l’originale titolo “Matti per il calcio”. In seguito, l’idea italiana di allora, apprezzata e seguita soprattutto in Giappone (con oltre 600 squadre di questo tipo) e da migliaia di squadre in tutto  il mondo, ha ripreso forma addirittura in un Campionato mondiale, svoltosi nel febbraio 2016  a Osaka. E l’esperienza sarà ripetuta a Roma nel maggio prossimo. Il dott. Santo Rullo, incaricato  di formare la squadra italiana, sta lavorando per la selezione di pazienti provenienti da tutta  Italia. E al seguito di questa Nazionale azzurra dei pazienti psichiatrici sarà girato un nuovo  documentario di portata internazionale dal titolo “Crazy for Football” che ne racconterà artisticamente le imprese agonistiche e le loro risonanze emotive. Si tratterà certamente di una  vittoria, indipendentemente dal risultato. Perché lo sport sa essere molto più di un semplice  gioco: un modo nuovo per ritrovare se stessi, il proprio equilibrio. Il prossimo maggio, noi  tiferemo per questi calciatori speciali. Affinchè anche per loro il disagio diventi risorsa, nel calcio come nella vita.

PER APPROFONDIRE

  • I Seminari de La Tenda a Fieravecchia (L’Allenatore per la vita)
  • L’Allenatore per la vita
  • LA PROPOSTA
  • Crazy for football” (in caosinforma n. 112)

LA CRISI DELLA POLITICA

ANCHE L’IMPEGNO POLITICO STA CAMBIANDO, C’È IL RISCHIO CHE NESSUNO SI INTERESSI PIÙ DELLA VITA ASSOCIATA

L’interesse per la politica nei giovani è sempre più debole mentre tra gli adulti, considerando la  minoranza dedita alla politica, rischia di diventare un fenomeno simile al tifo calcistico: si  seguono i partiti e i politici come se fossero squadre e giocatori nello stadio. L’agonismo in  poltrona sostituisce l’impegno per una causa sociale.

L’attualità politica è dominata dalla discussione sulla crisi dei sistemi politici tradizionali e  sull’avanzata di movimenti o partiti definiti populisti o sovranisti che invocano una  discontinuità profonda con il passato. Si tratta davvero di una rottura di sistema.

È la prova ulteriore di una più profonda crisi di fiducia nelle virtù della politica che ha perso  ogni carattere di sacralità. Ormai i meccanismi del consumo sono entrati anche in politica e il  prodotto più facile è quello offerto da leader influencer, cioè capaci di mostrarsi come noi, di  pensare e desiderare cose che già conosciamo.

In realtà la democrazia ha bisogno di valori che vengono dal vissuto e che non hanno a che fare  con il sistema politico, ma questi valori personali non bastano senza il sostegno di regole formali. Che è come dire che le buone intenzioni non bastano e che occorre costruire insieme  dei codici di comportamento collettivo.

Bisogna peraltro ammettere la possibilità che la democrazia liberale rappresentativa, il modello  europeo che ha accomunato tutto il cosiddetto Occidente, non sia un “destino”, o un carattere  genetico della politica occidentale.

Certo quando l’immagine della politica è negativa, o la si fa apparire tale, allora il riflesso  naturale di grandi masse di elettori è quello di rifugiarsi nel bozzolo “popolare” che è un modo  di farsi forza quando non c’è

L’interesse per la politica nei giovani è sempre più debole mentre tra gli adulti, considerando la  minoranza dedita alla politica, rischia di diventare un fenomeno simile al tifo calcistico: si  seguono i partiti e i politici come se fossero squadre e giocatori nello stadio. L’agonismo in  poltrona sostituisce l’impegno per una causa sociale.

L’attualità politica è dominata dalla discussione sulla crisi dei sistemi politici tradizionali e  sull’avanzata di movimenti o partiti definiti populisti o sovranisti che invocano una  discontinuità profonda con il passato. Si tratta davvero di una rottura di sistema.

È la prova ulteriore di una più profonda crisi di fiducia nelle virtù della politica che ha perso  ogni carattere di sacralità. Ormai i meccanismi del consumo sono entrati anche in politica e il  prodotto più facile è quello offerto da leader influencer, cioè capaci di mostrarsi come noi, di  pensare e desiderare cose che già conosciamo.

In realtà la democrazia ha bisogno di valori che vengono dal vissuto e che non hanno a che fare  con il sistema politico, ma questi valori personali non bastano senza il sostegno di regole  formali. Che è come dire che le buone intenzioni non bastano e che occorre costruire insieme  dei codici di comportamento collettivo.

Bisogna peraltro ammettere la possibilità che la democrazia liberale rappresentativa, il modello  europeo che ha accomunato tutto il cosiddetto Occidente, non sia un “destino”, o un carattere  genetico della politica occidentale.

Certo quando l’immagine della politica è negativa, o la si fa apparire tale, allora il riflesso  naturale di grandi masse di elettori è quello di rifugiarsi nel bozzolo “popolare” che è un modo  di farsi forza quando non c’è guida o il modo di arrendersi e di entrare nel recinto che ci hanno  preparato.

PER APPROFONDIRE

  • caosinforma n.115 BISOGNO DI POLITICA
  • caosinforma n.85 RESPONSABILITA’ SOCIALE

LA PROPOSTA

Dalla prevenzione alla responsabilità sociale

LA  FRAMMENTAZIONE EDUCATIVA

LA PROSPETTIVA DEL SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO SI PONE SIA COME PROGETTO CULTURALE SIA COME SISTEMA ORGANIZZATIVO COMPLESSO

Nella nostra realtà sociale si è andato sviluppando un sistema formativo (mass media, iniziative private di formazione) talvolta più dinamico ed aggiornato, ma spesso non  collegato alle agenzie esplicitamente educative (e dominato per lo più da logiche estranee ai  bisogni formativi).

L’ ipotesi progettuale di un sistema formativo integrato riconosce e cerca di dare una  sistemazione razionale a una realtà nella quale le attività formative non costituiscono più il  terreno di monopolio della Scuola. Ma impone che le diverse attività educative rivolte ai  giovani vengano agite in una pluralità di sedi: i laboratori, i mass-media, gli istituti e le agenzie culturali di territorio, l’associazionismo, il mondo stesso della produzione.

E’ con tutto ciò che ci si deve misurare sulla base di una precisa chiarificazione di competenze  e di un confronto nel merito della qualità delle proposte formative.

La formula “dalla Scuola al sistema formativo integrato” sta ad indicare la necessità e l’urgenza  di mettere a punto un’organizzazione complessa e modulare dei processi formativi che sia in  grado di reggere efficacemente il confronto con i tratti emergenti in campo formativo nel nostro  sistema sociale.

La prospettiva del sistema formativo integrato si pone così ad un tempo come progetto  culturale e come sistema organizzativo complesso. In tutto questo, di primaria importanza è  ovviamente il ruolo che la Scuola può giocare, una volta riconosciuta la priorità della relazione  umana individuale.

Al di là del pur notevole apporto della tecnologia, è necessario allora ripartire da quella sfera di  umanità, di affetti e di interazioni tra persone, nella quale certamente un insegnante non può  ridursi a un “manipolatore di interruttori” o a un “correttore di schede” meccanizzate, ma deve  assolutamente continuare ad esserci come persona, nel “qui ed ora” della lezione reale.

In un momento segnato da tali emergenze, e nella confusione di ruoli e di distanze generazionali  che caratterizza i nostri contesti educativi, c’è allora qualcosa di cui gli adolescenti hanno  davvero bisogno, e sono degli adulti autorevoli, insieme ai quali definire un progetto valido di  vita.

PER APPROFONDIRE

  • Un territorio per il minore (atti dell’omonimo convegno)
  • caosinforma n. 122 Disagio educativo/emergenza educativa
  • caosinforma n.79 Professione docente: lavoro di frontiera
  • Prof, posso Uscire? da I seminari de La Tenda a Fieravecchia

 

LA PROPOSTA

  • caosinforma giovani, la rivista dei giovani per i giovani
  • Il Progetto Giovani del Centro la Tenda
  • Il sistema formativo integrato

Al termine di questa AGENDA 2019, che ha evidenziato le insidie che la società oggi pone alla  formazione dei nostri giovani, risulta chiaro quanto sia delicato il ruolo di chi come educatore  naturale o professionale deve affacciarsi sul mondo complesso e delicato dei giovani di oggi. I  quali continuano, in forme diverse, ad esprimere il loro bisogno di relazione, di affetto, di amicizia, di amore e di famiglia ma chiedono, in definitiva, in modo esplicito o velato, di rapportarsi con genitori e adulti autorevoli.

D’altra parte non è un’invenzione di sociologi e scienziati sociali che le dipendenze si moltiplicano, abbracciando una serie di ambiti difficilmente controllabili che vanno dai disturbi  alimentari all’ossessivo uso di internet e dei social al cyberbullismo, dal ritiro sociale fino a  varie forme di autolesionismo.

In una società dove anche le cosiddette “sostanze” hanno perso la loro valenza trasgressiva, i  ragazzi scelgono di lasciarsi in qualche modo anestetizzare dalle “nuove droghe” o di essere sorretti artificialmente nelle loro prestazioni.

Per quanto ci riguarda, siamo convinti che tocchi a noi saper concentrare i nostri sforzi per  poterli comprendere e accompagnare, nel lavoro e nella vita, in una sorta di nuovo spazio da  abitare insieme. Gli adulti di cui i ragazzi del terzo millennio hanno bisogno sono adulti capaci  di aiutarli a tenere a bada l’angoscia e l’inadeguatezza proprie di una vera, diretta, relazione con  gli altri. Che li aiutino a crescere individualmente e socialmente in maniera sana ed equilibrata, sapendo usare lo stesso linguaggio e gli stessi strumenti, con cui affrontare le nuove e numerose sfide sociali del nostro tempo.

Ma il segreto più grande nel rapporto tra le generazioni è quello di saper amare la vita del  ragazzo anche quando la nostra inizia la fase del suo declino. Non avere paura del proprio  tramonto è la condizione per la trasmissione del desiderio da una generazione all’altra.

Abbiamo allora bisogno di proporre identità assertive ma non autoritarie, personalità forti ma  non rigide, nell’affiancare la crescita dei nostri ragazzi con una mentalità aperta e flessibile ma  ferma e responsabile

 

 

 


 

 

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